Questa lettera documenta la stretta collaborazione tra il Dipartimento di Anatomia Umana presso la Facoltà di Farmacia dell'Università degli Studi di Milano ed il Direttore Scientifico dei laboratori di ricerca GUNA. Essa rende testimonianza circa l'atteggiamento di "sano scetticismo" della scienza ufficiale nei confronti delle medicine non convenzionali, e nel contempo lascia intuire quali potrebbero essere le nuove frontiere di questo paradigma medico, ancora in buona parte da esplorare.
L'OMEOPATIA E I TOPI: LA STORIA DI UNA RICERCA
lettera di Alessandro Perra - Direttore Scientifico GUNA Spa
Questa che vi racconto non è solo la storia di una ricerca di base ma è anche la storia di 2 mondi che si incontrano e che in nome della Scienza e dei risultati riproducibili abbattono le barriere del pregiudizio.
Nel Gennaio del 2008 la nostra Azienda decide di valutare, attraverso una serie di ricerche di base in vitro ed in vivo, gli effetti di alcuni componenti dei farmaci che abitualmente utilizziamo in tutto il mondo, per saperne di più sul loro meccanismo d'azione.
Si trattava di un passaggio importante: dopo più di 10 anni durante i quali quotidianamente avevamo davanti agli occhi l'evidenza dell'efficacia e dei risultati clinici dei farmaci Guna, sentivamo la necessità scientifica di arrivare a spiegare come le sostanze che noi impieghiamo nei nostri farmaci funzionassero non solo a livello del "macrocosmo" paziente ma anche a livello dell'"ultrapiccolo", quel meraviglioso mondo che è la cellula.
Il nostro partner sarebbe stato l'Università degli Studi di Milano. Ed è a questo punto che inizia la storia delle "liaisons dangereuses" tra due mondi: Guna proviene dalla tradizione omeopatica, l'establishment universitario storicamente non è mai stato particolarmente favorevole alla disciplina omeopatica. E anche questa volta la storia si è ripetuta.
Ma poi qualcosa è cambiato..."Va bene, condurremo questa serie di esperimenti in vitro su cellule isolate e poi in vivo su animali, ma tanto sappiamo già che è tempo perso. Lo sanno tutti che l'Omeopatia è acqua fresca".
L'inizio dei nostri rapporti con il Dipartimento di Morfologia Umana dell'Università degli Studi di Milano non poteva essere migliore! Questo accadeva un giorno di Gennaio del 2008. Un anno e mezzo dopo, quello stesso ricercatore (oramai diventato amico) mi avrebbe detto: "Non ci ho mai creduto. E molte cose ancora non mi sono chiare. Non ci volevo credere e fino all'ultimo ho fatto di tutto per non crederci. Ma io sono un ricercatore e un ricercatore non deve credere, non deve procedere per fede; un ricercatore deve osservare e misurare, e verificare, deve basarsi sui dati e non dare interpretazioni. In questo lavoro io mi sono comportato come un notaio: ho osservato e misurato, solo questo. Non chiedetemi se l'Omeopatia funziona. Io avevo un'idea, ora ne ho un'altra".
Che cosa era successo durante quell'anno e mezzo?
Era successa una cosa molto semplice: erano arrivati i risultati della nostra ricerca sull'attività di bassi dosaggi di interleuchine. E questi risultati erano talmente forti da abbattere le barrire del pregiudizio ed oggi, nel mondo, si parla di questi risultati: se ne parla nelle Università (dalla Loyola University di Chicago alla Harward University di Boston, dalla Wisconsin University di Madison alla Royal Society of Medicine di Londra) e una prestigiosa Rivista come Pulmonary Pharmacology & Therapeutics ha pensato bene di pubblicarli.
Ma seguiteci, e immaginate di entrare nei Laboratori dell'Università di Milano; indossate un camice bianco e osservate anche voi, come degli scienziati, cosa abbiamo fatto. Volevamo misurare gli effetti di diluizioni molto spinte (o se preferite: dosaggi molto bassi) di una molecola biologica su cellule umane isolate e stabilizzate.
In termini molto semplici: cellule umane (fibroblasti) sono state messe in contatto con una sostanza presente normalmente nel nostro organismo e che è una delle responsabili dell'avvio del processo infiammatorio. Questa sostanza si chiama Interleuchina 1-β (IL-1 β).
Potremmo dire che quando questa sostanza si "aggancia" alla superficie di una cellula vittima di un insulto infiammatorio (un trauma o un'infezione per esempio), si comporta come un dito che pigia su un interruttore: accende l'infiammazione. Quando questo interruttore si accende, dentro la cellula avviene una moltitudine di reazioni chimiche e diverse sostanze vengono prodotte. Sperimentalmente, misurare alcune di queste sostanze significa misurare l'efficacia dell'interruttore, cioè l'attività biologica di quel messaggero dell'infiammazione chiamato IL-1 β. Provammo vari flaconi contenenti IL-1 β, da quelli più concentrati a quelli più diluiti. Fra questi, due contenevano proprio una diluizione omeopatica, cioè decisamente poco concentrata (siamo nell'ordine di frazioni di miliardesimi di grammo per millilitro) e, soprattutto, uno era stato sottoposto alla cosiddetta "dinamizzazione" (un processo di agitazione verticale molto particolare e preciso che, standardizzato nei nostri Laboratori è chiamato oggi Sequential Kinetic Activation) mentre l'altro conteneva solo la diluizione non dinamizzata.
Secondo le procedure internazionali della ricerca scientifica nessuno degli sperimentatori conosceva il contenuto dei flaconi, che erano siglati con delle lettere (in una busta chiusa e depositata in cassaforte, siglata dal direttore della sperimentazione, era riportata la corrispondenza fra lettere dei flaconi e rispettivo contenuto). Come si suol dire, procedevamo "in cieco".
Dopo alcune settimane eravamo in possesso dei risultati della ricerca: due flaconi mostravano, fra tutti, i risultati più eclatanti. Il flacone B e il flacone C.
Ricorderò sempre queste lettere perché il professore dell'Università che conduceva il lavoro, da scettico osservatore immaginava che queste due lettere corrispondessero ai flaconi contenenti le maggiori concentrazioni di IL-1 β. Così, un pomeriggio mi arrivò una telefonata. Era il responsabile della ricerca (che sarebbe poi diventato un compagno di avventura scientifica) che mi diceva: "... devo riferirle i risultati: due flaconi hanno risposto, tutti gli altri no, mi dispiace per lei, sicuramente si tratta dei flaconi con le concentrazioni più elevate. Comunque domattina la attendo in Istituto per aprire insieme la busta."
Il giorno dopo aprimmo la busta. Lui (non io) non voleva credere ai suoi occhi. I flaconi che avevano dato quei risultati positivi contenevano uno, sì, la concentrazione farmacologica, cioè elevatissima di IL-1 β, ma l'altro, il fantomatico flacone C, conteneva la diluizione omeopatica di IL-1 β che era stata sottoposta a quello strano procedimento chiamato dinamizzazione. Ancora più interessante era un altro risultato. Il flacone contenente la diluizione omeopatica di IL-1 β, che non era stata però sottoposta a dinamizzazione, si comportava come l'acqua fresca, cioè non mostrava alcun effetto biologico.
Ma lui (il Professore) non ci voleva credere.
Così ripeté l'esperimento ma, accidenti, i risultati continuavano ad essere sempre gli stessi. Ma continuava a non volerci credere. Così ci chiese di poter assistere alla preparazione delle diverse diluizioni (era arrivato a pensare che potessimo ingannarlo dandogli flaconi contenenti concentrazioni differenti rispetto a quel che dichiaravamo), ma, accidenti, i risultati continuavano ad essere sempre gli stessi. Fu anche l'occasione perché il Professore potesse constatare di persona il livello tecnologico dei Laboratori Guna. Nel suo immaginario un laboratorio omeopatico era popolato da alambicchi e pittoreschi "alchimisti". Si trovò, invece, inaspettatamente immerso in una realtà di altissima tecnologia, all'avanguardia, quanto di più innovativo possa offrire l'Industria farmaceutica, e non solo omeopatica.
A quel punto i suoi pregiudizi cominciarono a vacillare perché quelli che avevamo in mano erano dati, non si trattava di interpretazioni. Ma ancora non era convinto. Una cellula è una cellula e, isolata, ha un comportamento differente rispetto a un sistema biologico complesso come quello di un animale.
Nel frattempo il Professore, da vero studioso, aveva cominciato a leggere studi clinici controllati (accidenti se esistono!) inerenti all'utilizzo di diluizioni omeopatiche di principi attivi. Questi lavori mostravano un'efficacia clinica decisamente superiore al placebo. Ma nonostante tutto continuava ad essere scettico. Mi diceva: "...certamente un essere umano può essere influenzato dal medico che, somministrandogli un certo farmaco, e anche solo accompagnandolo con una frase ben detta, può condizionare favorevolmente l'esito della terapia".
Insomma, ancora la classica accusa rivolta al rimedio omeopatico: è niente più che un placebo.
Ma oramai la sua curiosità di ricercatore non era più controllabile. Voleva osservare e capire. E -mi avrebbe confidato qualche tempo dopo- voleva dimostrare che l'Omeopatia non può funzionare su un animale da laboratorio. Così si decise di passare dal "vitro" al "vivo": furono presi dei topi e su di essi si misurarono in vivo gli effetti di diverse concentrazioni di alcune molecole biologiche (sempre delle interleuchine) che la Medicina studia da più di 15 anni per giungere ad una terapia eziologica delle allergie, cioè capace di eradicarne la causa principale. Anche in questo caso si procedette ovviamente in cieco, cioè né i topi (come è facile intuire) né gli sperimentatori sapevano cosa si stesse somministrando. Come al solito, furono somministrate concentrazioni farmacologiche, cioè molto concentrate; furono somministrate diluizioni omeopatiche senza dinamizzazione; furono somministrate diluizioni omeopatiche dinamizzate; fu somministrato placebo. Anche i topi mostrarono che solo "due flaconi" erano terapeuticamente efficaci, e per giunta nella stessa misura. Però questa volta successe qualcosa di strano: i topi che erano stati trattati con uno dei due flaconi, dopo un'iniziale totale remissione del quadro patologico, dopo alcuni giorni morivano. I topi trattati con l'altro "flacone efficace" mostravano anch'essi la totale remissione della patologia, ma non morivano. A questo punto sia io che il Professore non stavamo più nella pelle dalla curiosità di scoprire a quali concentrazioni corrispondessero i due flaconi "terapeutici": il primo, capace di curare con grande efficacia ma con tali effetti collaterali negativi da uccidere i topi, corrispondeva alla diluizione superconcentrata; il secondo invece, mostrava di essere efficace come il precedente, e in più di essere privo di effetti collaterali. Lui non ci voleva credere: ancora la diluizione omeopatica dinamizzata! Era lei quella contenuta nel flacone che aveva curato i topi allergici senza effetti collaterali. Inutile dire che il suo scetticismo gli imponeva di ripetere e ripetere e ripetere l'esperimento, ma i risultati continuavano ad essere sempre gli stessi.
Eh già, la ripetitibilità dei risultati: il paradigma fondante della sperimentazione scientifica. A quel punto sapevamo che lo studio sarebbe stato inattaccabile.
Sono passati quasi due anni da quel giorno di Gennaio del 2008 e molte cose sono successe. La Guna ha scritto una bellissima pagina nella sua storia di Azienda farmaceutica, il lavoro è stato pubblicato su una prestigiosa Rivista internazionale, della nostra ricerca oggi se ne parla nelle Università, veniamo invitati ad importanti Congressi internazionali e, soprattutto, pensiamo di avere fatto qualcosa di buono per milioni di pazienti nel mondo.
Ancora oggi, quando si parla di Omeopatia la domanda più frequente è " ma tu ci credi"?
Quello che ho imparato in questi 2 anni è che non può esserci domanda più stupida ed inutile. Non si può credere o non credere nell'Omeopatia, come in nessuna Scienza. Ciò che attiene alla Scienza può solo essere osservato e misurato. E quello che vi ho raccontato è solamente ciò che abbiamo osservato e misurato nell'ultimo anno e mezzo.
Oggi penso solo che se non avremo il coraggio di "misurare" l'Omeopatia da scienziati, scevri da pregiudizi, potremmo privare l'umanità di una straordinaria risorsa e di nuovi farmaci efficaci per molte patologie (non tutte, ma alcune certamente sì) e sicuramente privi di effetti collaterali.
Stando accanto ai Professori dell'Università anche noi siamo diventati un pò ricercatori e come ricercatori abbiamo cominciato a coltivare ossessivamente il dubbio, un dubbio che oggi ci vede impegnati a misurare gli effetti di diluizioni omeopatiche di alcuni principi attivi che potrebbero rappresentare una nuova frontiera nella cura del Morbo di Crohn e dell'Artrite Reumatoide.
Un dubbio per il quale vale la pena passare le notti in laboratorio...